(Christian Speranza-Roma) Al Costanzi di Roma la Lucrezia Borgia non si vedeva dal 1980. La doverosa ripresa ha visto Roberto Abbado alla direzione e Valentina Carrasco alla regia, con scene di Carles Berga, costumi di Silvia Aymonino e luci di Marco Filibeck.

Della regia s’è già detto nella parte video, riassumibile in astrazioni di notevole impatto visivo, qualche spunto interessante ma, almeno a giudizio di chi scrive, poca attinenza con l’opera.

Grande consenso hanno suscitato invece i due cast, sostenuti da una concertazione riuscita e da una direzione incalzante, quella di Abbado, capace di tenere serrato il ritmo narrativo ma anche di aprirsi agli indugi lirici, e che ha trovato vivida rispondenza nell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, plastica ed espressiva.

 

 

L’edizione critica curata da Roger Parker e Rosie Ward accoglie tutte le varianti approntate nell’arco di nove anni per le numerose riprese: in totale, dieci Lucrezie plausibili! Di queste, le più importanti sono la prima assoluta – Milano, Scala, 26/12/1833 – e quella per il Théâtre-Italien del 1840. Abbado ha selezionato con appropriatezza fra il materiale disponibile, in certi casi adattandolo al cast. Ad esempio, nel Prologo, Lucrezia esegue entrambe le strofe di Com’è bello (versione 1833; nel 1840 la seconda sarebbe stata tagliata); nel primo atto, la stretta del duetto Lucrezia-Alfonso è quella riscritta per Firenze (1836), mentre nel secondo l’arioso di Gennaro Madre, se ognor lontano è del 1838.

Enea Scala, del primo cast, si produce anche in Com’è soave, inserito nel 1840; Oreste Cosimo del secondo, nella recita di domenica 23 febbraio 2025 che qui si commenta, la omette, lasciando soltanto il duetto con Maffio, come nel 1833. La vocalità calda e convincente del suo Gennaro si dispiega con lirismo appassionato, omogeneità di emissione e buone sfumature nelle mezze voci. Qualità condivise con Teresa Iervolino, un Maffio Orsini che fa dello scavo nel vocabolo e dell’uso del legato le sue armi vincenti. Apprezzabile anche la brillantezza nel brindisi, le variazioni nella seconda strofa e il canto che già soccombe al veleno.

 

 

Convince anche Carlo Lepore, al debutto nel ruolo di Alfonso I d’Este, grazie alla sua consumata teatralità e alla sua importante cavata di voce, con sicuri e solidi affondi nel grave e col suo timbro bronzeo e risonante.

La riuscita della recita non sarebbe stata possibile senza la grande caratura di Angela Meade. La sua vocalità non è prettamente belcantistica, ma Lucrezia non è solo belcanto. Per questo, sbilanciata sul versante lirico-drammatico, dove la sua voce piena, voluminosa e ben proiettata è a suo agio, Meade accentua il lato cupo, vendicativo, velenoso di Lucrezia, e l’adattamento registico scelto per lei, senza l’aperta seduzione di Lidia Fridman del primo cast, ne esalta la freddezza nel perseguire i suoi scopi. Ma le sue ampie risorse vocali si piegano a dolcezze inaspettate, come in Com’è bello, o a sussurri sottovoce nel terzetto del primo atto, che contrastano con gli acuti reboanti di altre sezioni, e ad una corretta sgranatura delle agilità. Punto culminante è il rondò finale, Era desso, eseguito con vibrante intensità e completo di ripetizioni (come tutti gli altri numeri dell’opera: valore aggiunto per Abbado che non le ha tagliate).

 Un plauso va anche al Coro del Costanzi, preparato da Ciro Visco, e ai numerosi, partecipi e validi comprimari: Raffaele Feo (Liverotto), Arturo Espinosa (Gazella), Alessio Verna (Petrucci), Eduardo Niave, diplomato “Fabbrica”, Young Artist Program del Teatro (Vitellozzo), Roberto Accurso (Gubetta), Enrico Casari (Rustighello), Rocco Cavalluzzi (Astolfo), Giuseppe Ruggiero (Usciere).