(Alessandra Giorda)  Il giorno dopo la Premìere dell’opera Tosca di Giacomo Puccini al Teatro del Giglio, in occasione delle celebrazioni per il centenario della morte del  Maestro lucchese, il baritono toscano si racconta festeggiando  20 anni di carriera  nella sua Lucca tra parenti e amici dopo il trionfo nel ruolo di Scarpia al teatro lirico della cittadina toscana, neo intitolato dal sindaco Mario Pardini: Teatro del Giglio Giacomo Puccini. Cavalletti continua ad essere uno degli artisti più interessanti a livello internazionale per le sue indiscusse qualità vocali e attoriali senza dimenticare la possente presenza scenica. Come Voi lettori sapete mi piace andare oltre all’artista per scoprire l’uomo.  Sempre in giro da un teatro all’altro per il mondo, applausi, ovazioni, follower, fan, ma quando cala il sipario  il divo lascia spazio  all’uomo. Chi è Massimo Cavalletti? Quali sono le sue emozioni? Il ragazzo puro di eri e l’uomo di oggi in un’analisi introspettiva che spazia dal pubblico al privato.

 

 

Massimo portaci indietro di qualche giorno e raccontaci le emozioni provate il 29 dicembre scorso sul palcoscenico del Teatro del Giglio a Lucca

Indescrivibile, una serata magica, una occasione unica per debuttare a Lucca, dopo la recita c’è stata una grande festa al Caffè delle Mura e ricordo di aver parlato con il sindaco Mario Pardini dicendo che se avessi cantato altre cento recite al teatro del giglio non avrebbero mai raggiunto tutte insieme la bellezza e l’emozione di quello che avevo provato per quella serata speciale. Un evento per tutta la città, per tutti gli amici miei di sempre, per le persone che amano l’opera e che hanno assistito a uno spettacolo fedelmente ricreato sulle volontà di Giacomo Puccini da Luca Orsini che ci ha messo nella condizione di rendere nuovo con la recitazione una ambientazione assolutamente fedele all’impianto scenico/drammaturgico del libretto e dello spartito. Ricordo molti anni fa, quando cantavo nel coro a Torre del Lago e nei teatri di Lucca, Pisa e Livorno, c’era un responsabile della cooperativa che gestiva gli artisti del coro si chiamava Cesare Bianchi, ricordo benissimo quando ci espresse il desiderio di sentire un Te Deum fragoroso e esaltante, che portasse il pubblico al punto di climax proprio prima del sipario del primo atto. Ecco posso dirti che il 29 novembre scorso io mi sono risentito in una serata così ma stavolta nei panni del Barone Scarpia e intorno a me tutto il coro e i bambini in un super finale di atto tutto dedicato a Lucca.

 

 

Qual è stato il momento più significativo e toccante di quella serata?

Forse ho già un pò risposto alla tua domanda, ma posso raccontare anche di un momento bellissimo nel secondo atto il gioco di sguardi con Clarissa Costanzo e tutte le intenzioni che ci siamo passati quando non cantavamo, poco prima di morire per esempio, ho già terminato di scrivere il salvacondotto per lei e Mario, mi volto la guardo, lei ha già il coltello nascosto, ha paura che io la scopra e allora per rendermi ancora più docile inizia a spogliarsi, compiaciuto mi volto di nuovo allo scrittoio finisco preparare il foglio e poi vado verso di lei, ormai mi sento sicuro, quasi stessi con la mia donna, sono nelle mie stanze tutto è sotto controllo e invece… in pochi secondi sono sull’orlo della morte. Ho ancora i brividi.

Mentirei se non riconoscessi nell’applauso del pubblico a fine recita come il momento che mi ha reso davvero felice e appagato dei tanti sacrifici che faccio e che chiedo anche alla mia famiglia per realizzarmi ogni giorno come artista. È stato perfetto, e mia moglie era tra il pubblico, per la prima volta da quando mio figlio Cesare è nato è riuscita a tornare in teatro per una prima e ci siamo goduti questo successo insieme. Questo è stato davvero il punto clou della serata.

 

 

Come hai festeggiato il tuo trionfo a Lucca?

A casa con noi c’erano anche alcuni amici che hanno visto lo spettacolo del 29 e altri che avrebbero visto la recita della domenica pomeriggio, insomma è stata una giornata dedicata alla famiglia e agli amici stretti.

L’indomani della recita ho festeggiato con la mia famiglia a casa Cavalletti, abbiamo colto l’occasione di essere tutti insieme per festeggiare anche i miei 20 anni di carriera, dico venti perché prendo a riferimento la prima opera la Parisina di Donizetti che feci con l’accademia della scala al teatro Donizetti di Bergamo nell’ottobre 2004. Prima di quella data avevo già cantato parecchie serate anche opere ma in situazioni meno istituzionali anche se molto belle. La primissima volta che ho cantato un’opera in assoluto fu il Marco nel Gianni Schicchi però una recita fatta con il pianoforte a Bagni di Lucca nel 1998 e poi man mano la mia carriera ha preso il via.

Nella recensione di Luca Fialdini dell’Ape Musicale tesse lodi notevoli sul tuo operato “La palma va senza ombra di dubbio a Massimo Cavalletti” …..”da solo lo Scarpia di Cavalletti meritava il prezzo del biglietto” e tanto da concludere, la parte riguardante te con: “nella Tosca del centenario alla fin fine c’era solo un interprete di alto livello (e così alto da distanziare notevolmente tutti gli altri)… Come commenti? 

La recensione di Fialdini mi ha veramente dato una grande carica, lo ringrazio e lo apprezzo moltissimo, significa che mi ha capito, so che ho moltissimo da lavorare su me stesso, questo non è un arrivo ma un punto di partenza, e devo migliorarmi e affinarmi ancora molto, è stata sicuramente una serata magica, e per realizzarla tutto è stato davvero perfetto, voglio cercare di arrivare a questi livelli sempre, ma questo significa che devo ancora scavare molto nel personaggio e nell’animo della scrittura Pucciniana, fidandomi ancora di più del mio strumento vocale. Scarpia è un ruolo che porta a strafare sull’aspetto vocale e scenico e come dico sempre serve togliere dalla pietra per raggiungere la statua perfetta e non aggiungere. Serve scavare e scoprire. C’è ancora tantissimo lavoro per vedere la luce piena del personaggio di Scarpia ma voglio farlo cosi come lo voglio per gli altri personaggi. E la mia grande fortuna Alessandra, è che molti dei personaggi che davvero amo nel mio cuore ancora non li ho debuttati, vuol dire che quando lo farò saranno già molto scavati, e molto in luce e quindi potrò partire da un punto di appoggio molto solido.

 

 

Cosa rappresenta per te oggi il Teatro del Giglio e questo debutto?

La mattina della prova generale, ho tenuto una breve master class presso la sala San Girolamo vicino al teatro del Giglio e li ho incontrato giovani allievi del conservatorio e altri che gravitano intorno al Teatro del Giglio, con loro e con la direzione del teatro abbiamo parlato della volontà di avere un teatro sempre più aperto verso i giovani, magari la voglia di dare un contributo anche attraverso l’insegnamento della musica e dell’arte del teatro lirico ai giovani. E questo all’interno di un progetto che riapra il Teatro del Giglio a tutta la popolazione della citta ma anche al mondo intero. Sarei felice di poter dare il mio contributo al Teatro di Lucca non solo come interprete ma anche in tutti gli altri modi che si possano trovare. E credo che come me ci sono anche molti altri artisti Lucchesi e che vivono sul territorio che hanno a cuore il ritorno del nostro teatro a livelli molto più alti. Voglio ricordare che negli anni 60/70 i grandi nomi della lirica venivano a provare i nuovi debutti a Lucca, abbiamo avuto grandissimi interpreti, anche Mario del Monaco in Otello. Lucca era uno scoglio dove provarsi prima dei palcoscenici mondiali. Credo che si possano ricreare le condizione di fiducia tra istituzione e artisti per tornare ad altissimi livelli.

 

 

Se potessi parlare a te stesso di 20 anni or sono, cosa ti diresti?

Mi darei tanti consigli e mi guarderei dritto negli occhi, sai perché dico questo? Perché anche io do molti consigli ai miei allievi, ma loro non mi ascoltano veramente con l’orecchio della coscienza, vogliono arrivare, vogliono la fama e cantare a ogni costo. Invece la cosa più importante specie all’inizio è consolidare la tecnica, e costruire una rete di amicizie e contatti. Sono le amicizie e le relazioni sociali e artistiche che poi nella vita di un cantante producono contratti e ingaggi, produzioni e collaborazioni. Ma la tecnica e il metodo di studio sono alla base della lunga vita di un artista. Anche ascoltare i maestri, specie quando parlano senza interessi personali, ma quando parlano davvero da maestri con l’interesse dell’allievo al primo posto. Mi direi sicuramente di tenermi molto vicino le persone che mi trattano nella maniera giusta senza guardarmi solo come un investimento o come una leva per arrivare a altro, mi direi di studiare e di essere molto critico verso me stesso, di non puntare al successo ma alla qualità di quel successo, e di crearmi i contatti il più possibile senza lasciare tutto solo nelle mani dei manager.

 

Alla fine i contatti, le amicizie, creano rispetto reciproco e considerazione e in qualche modo si ritorna a parlare tra persone e non tra prodotti. Dobbiamo ricordarci che siamo prodotti che vengono venduti non meno di oggetti di lusso o di consumo giornaliero, e per essere appetibili dobbiamo avere tante cose oltre la qualità, la rete di distribuzione, la pubblicità giusta, l’immagine giusta, l’attrattiva. Perché scegliere quell’auto piuttosto che l’altra a parità di possibilità economiche? C’è qualcosa che attrae, una volta era il motore, il cambio, o la resistenza, oggi sono le prese usb, il design interno, o i fari allo xeno. È molto cambiato il tipo di attrattiva del prodotto da quando ho iniziato io, e anche il pubblico in sala è stato abituato a cambiare il punto di vista e il gusto, questo mi sembra un fatto. Se io lo avessi insegnato queste cose al me stesso di venti anni fa sarei stato in vantaggio sui tempi. Questo è il genio no? Alcuni comunque l’avevano capito e hanno cavalcato l’onda, io invece ero un puro da ragazzo e in fondo anche adesso, non riesco a vendere quello che realmente non sono, e non sono dispiaciuto di questo e nemmeno di quello che ho fatto, ho realizzato e ancora sto realizzando tutti i miei sogni di artista e di uomo.

 

 

Onore ed oneri ad essere l’artista che sei diventato. E’ più difficile scalare l’Olimpo o rimanerci?

Rimanerci senza dubbio, io ho avuto tra i dieci e i quindici anni di assoluta gloria essendo costantemente nei cartelloni del Teatro alla Scala e del Metropolitan di New York, senza contare Opernhaus Zurich, e Teatro Regio di Torino e Maggio Musicale di Firenze, ma sai oggi quello che davvero tira moltissimo in teatro è la novità, tutti sono sempre alla ricerca del prossimo artista, del giovane, del nuovo. Se ci pensiamo bene succede cosi in ogni cosa, quasi tutti si stancano presto di ogni nuovo gioco e ne cercano presto un altro. La cosa importante per me è essere felice, cantare i ruoli che amo e che mi interessano e farlo dove mi da felicità cantare. So che non posso piacere a tutti, e questo mi ha portato lontano da certi miei teatri, ma la ruota della vita gira, e niente è per sempre, ci sarà un momento in cui un mix di cose tra cui le mie capacità, gli uomini giusti, i ruoli giusti e gli intermediari giusti mi riporteranno in certi teatri dove per i motivi più disparati e assurdi per qualche anno non ho potuto esibirmi. Ma è più importante continuare a cercare, a studiare e a crescere vivendo ogni giorno come artista ma anche e soprattutto come uomo.

Credo di poter dire che non ho mai cantato bene come oggi, che non sono mai stato cosí pronto dentro e fuori come oggi, sia come voce che come interprete, sono sicuro che avrò ancora una lunga vita davanti a me. Poi sai noi cantanti vendiamo la voce e l’attorialità, e la cosa più importante è avere la voce e mantenerla, se un artista ha la voce può esibirsi anche a ottant’anni. Se non ha mantenuto la voce allora questo è davvero un problema molto più grande di essere osteggiati o criticati da questo o da quello. Le mode cambiano, e come ho detto prima la ruota gira per tutti.

 

Estratto recensione a cura di Luca Fialdini dell’Ape Musicale riguardante Massimo Cavalletti- Scarpia- Tosca- Teatro del Giglio-Lucca

La palma va senza ombra di dubbio a Massimo Cavalletti, eccellente in tutto e per tutto come barone Scarpia. Ieratico e austero, cattura l’attenzione a ogni suo ingresso; senz’altro c’è un carisma naturale che aiuta, ma lo spessore di questa prova attoriale è altissimo e nulla è lasciato al caso: Cavalletti conferisce il giusto – anzi, l’esatto – peso a ogni frase, ogni accento, ogni parola, persino le espressioni più marginali (in questa recita pronuncia il più perentorio «apprestate per il Te Deum» che chi scrive abbia udito). A questo si sommano l’attentissima cesellatura del fraseggio, uno strumento vocale di cui il baritono ha un controllo pressoché perfetto e pure dotato non solo di un bel timbro ma anche di una evidente uniformità fra i registri, persino nelle zone di passaggio. In breve, da solo lo Scarpia di Cavalletti meritava il prezzo del biglietto.

Questo è però un “difetto”, nel senso che nella Tosca del centenario alla fin fine c’era solo un interprete di alto livello (e così alto da distanziare notevolmente tutti gli altri)……..

 

Credit Foto di scena Gaia Capone

Credit Video Noi TV