Alle varie ricorrenze che cadono nel 2024, Torino aggiunge un importante trentennale: quello dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (OSN). Nata nel 1994 dallo scioglimento delle Orchestre Rai di Roma, Milano e Napoli, essa ha trovato sede unica nella città che nel 1931 ha visto nascere l’antesignana di tutte: l’Orchestra Sinfonica dell’EIAR. Nel corso di questi anni l’OSN è stata diretta dalle migliori bacchette in circolazione, Vittorio Gui, Carlo Maria Giulini e Riccardo Chailly fra gli italiani, Herbert von Karajan, Sergiu Celibidache e Zubin Mehta, a tacere degli altri, fra gli stranieri. E perfino da compositori quali Richard Strauss e Igor Stravinskij, che interpretarono musiche proprie.
Il 24 e il 30 settembre 1994 i due concerti inaugurali vennero diretti rispettivamente da George Prêtre e Giuseppe Sinopoli. E, se per il ventennale, nel 2014, l’allora direttore principale Juraj Valčuha diresse la Missa Solemnis di Beethoven, per i trent’anni si è voluto fare anche di più: riproporre, cioè, nelle medesime date del 1994, i medesimi programmi che aprirono le danze dell’OSN, stavolta affidati al direttore principale di adesso, Andrés Orozco-Estrada.
Con un solo giorno di scarto: il 25 anziché il 24 settembre per il primo dei due. E mai “aprire le danze” fu frase fatta più indovinata, se pensiamo che il programma ha incluso i valzer del Rosenkavalier di Strauss, la suite dà L’oiseau de feu di Stravinskij (versione 1919) e il Boléro di Ravel, nato come balletto per Ida Rubinstein.
Il programma del 30 settembre è stato invece più sobrio, e ha accostato la Sinfonia nº4 in re minore Op.120 di Schumann alla Sinfonia nº4 in mi minore Op.98 di Johannes Brahms. Impaginare Schumann e Brahms nella stessa serata, dati i rapporti biografici che li legarono, non è né inusuale, né balzano. Le due Quarte, però, a parte il fatto di essere le ultime Sinfonie di ciascun autore, non potrebbero essere più diverse; e se trait d’union deve esserci, è quello di divagare, ognuna a suo modo, dal modello classico di sinfonia codificato dalla prima scuola di Vienna.
La Quarta di Schumann vide la sua prima stesura nel 1841, a ridosso della Prima. Inizialmente, quindi, si collocò al secondo posto. Ma la freddezza con cui venne accolta il 6 dicembre dello stesso anno al Gewandhaus di Lipsia indusse l’autore a ritirarla. Compose intanto quella che sarebbe diventata la “vera” Seconda (1845-46) e la Terza, la famosa “Renana” (1850). Solo nel 1851 si decise a rimaneggiare quella partitura che, al momento della pubblicazione, risultò come Quarta, e che colse il suo successo a Düsseldorf il 3 marzo 1853. Ciò che fece storcere il naso ai lipsiensi del 1841 fu probabilmente l’innovazione formale: una Sinfonia in quattro movimenti collegati l’uno all’altro come un unico racconto musicale, quasi in poema sinfonico. Una concezione ancora troppo in anticipo sui tempi, almeno a quell’epoca.
Anomala è anche la Quarta di Brahms, scritta nel 1884-85. La scansione tipica dei quattro movimenti è qui rispettata, con tutte le deroghe della concezione tardoromantica, ma con la vistosa eccezione del Finale, un monumento all’arte della variazione, ben trentadue, in forma di ciaccona o passacaglia, basate su un semplicissimo motivo derivato dalla Cantata BWV 150 di Johann Sebastian Bach.
Orozco-Estrada può contare su una compagine di solidissimo livello artistico, che si evince dalla qualità di suono sensazionale, dall’ammirevole compattezza e precisione di ciascuna sezione, dagli archi ai legni, dagli ottoni alle percussioni. Quanto alle intenzioni interpretative, pur sviluppate in seno a un’intesa evidente, fatta di sguardi d’intesa, sorrisi e rispondenze immediate tra direttore e orchestra, l’opinione dello scrivente depone a favore della Quarta di Schumann, diretta con polso fermo e notevole élan, in cui il fuoco sottinteso all’indicazione Lebhaft (Vivace) del primo e quarto movimento è stato reso adeguatamente, come pure la pensosità della breve Romanza (secondo) e la tumultuosità dello Scherzo.
Meno efficace la lettura della Quarta di Brahms, che è sembrata scivolare un po’ al controllo, perdendo di smalto, soprattutto per una ricorrente impressione di affastellamento di sonorità, di piani timbrici non ben calibrati e di una corrività che – soprattutto nel primo movimento – ha come smorzato la pregnanza dei due temi principali. Osservazioni in parte riconfermate nel Finale. Bene invece per l’Andante moderato in seconda posizione, sempre molto sostenuto e che non ha indugiato in languori decadenti, e per l’Allegro giocoso in terza, pieno di verve talvolta eccessivamente esuberante a causa di timpani un po’ troppo insistiti.
Ciò che davvero è mancato, in generale, è stata una maggiore cura del dettaglio, della strumentazione, di quei rilievi timbrici che sanno di scelta personale, e un disinteresse dei segni dinamici che ha livellato le esecuzioni senza sbalzarle a dovere.
Non è mancato invece il favore del pubblico. Il discorso di Orozco-Estrada a fine concerto, terminato con «un augurio di una crescita sempre felice e di una lunghissima vita musicale», ha suscitato ampi consensi, così come l’aver nominato uno ad uno i professori presenti nel concerto del 30/09/1994 e ancora oggi in forze presso l’OSN: a loro, in piedi fra gli altri orchestrali, l’applauso più caloroso, a loro e agli ex colleghi, invitati speciali della serata, che dalla loro meritata pensione si sono alzati in mezzo al pubblico come in una sorta di euforico flash mob