(Alessandra Giorda-Genova) La video intervista che avevo realizzato con il M° Giampaolo Bisanti a Genova in teatro per un motivo tecnico, mai accaduto a TV2 Opera, si è cancellata ed il Maestro milanese è stato, come sempre, gentilissimo nel concedere l’intervista scritta.

Incontrato a Muscat, Oman, in occasione dell’inaugurazione della Stagione 2024/2025 alla Royal Opera House Muscat con l’opera Un ballo in Maschera di G. Verdi, ci si ritrova a Genova in occasione di un vero capolavoro di Nino Rota: Il cappello di paglia di Firenze. Opera da me vista per la prima volta che mi ha entusiasmato. La consiglio a tutti Voi, miei cari lettori! Per l’occasione ho posto delle domande al M° Bisanti, riguardanti proprio quest’opera che tanto facile sembra, ma di esecuzione per nulla semplice. Come sempre sul podio si è confermato essere uno dei direttori d’orchestra più interessanti su scala mondiale e Vi invito a leggere l’intervista a seguire.

 

Commedia e raffinatezza musicale sono gli ingredienti principali dell’opera Il cappello di paglia di Firenze di Nino Rota. Qual è stato il tuo approccio per mantenere il giusto equilibro tra leggerezza e profondità?

“Ho avuto  modo ripetutamente di affermare che:

«Il cappello di paglia di Firenze è un vero e proprio inno alla vita, un invito a sorridere e a lasciarsi trasportare dalla leggerezza della comicità. La partitura di Rota è un autentico capolavoro, una piccola gemma musicale novecentesca! Un turbine di note che si intrecciano e si rincorrono, creando un tappeto musicale su cui si muovono i personaggi della commedia. La musica, che in alcuni momenti sembra quasi “danzare”, è capace di evocare una miriade di emozioni, dal divertimento più sfrenato alla malinconia più sottile, passando per momenti di grande lirismo che disegnano suggestioni molto evocative».

Sembra non a caso verosimile che Rota l’abbia scritta nel 1945 alla fine della seconda guerra mondiale, quasi a voler donare un momento di serenità e leggerezza ad una società profondamente lacerata e smarrita”.

 

Rota si ispira a compositori come Rossini e Donizetti, ma con un linguaggio moderno. Come hai lavorato per valorizzare questa fusione stilistica?

“Ho seguito un approccio molto fedele al testo per evocare la moltitudine di stili espressi in quest’opera. Ribadisco opera, non operetta come da qualcuno definita, in quanto non esistono sezioni parlate.

Rota si premura di combinare atmosfere gioiose proprie dei compositori dell’800 quali Rossini e Donizetti (e non solo…direi anche Verdi e Puccini…..) utilizzando un linguaggio novecentesco raffinato e particolarmente sofisticato.

Vedasi ad esempio il “concertato” “io casco dalle nuvole” o il temporale dove è chiara l’ispirazione allo stile rossiniano in seno al quale il compositore gioca proponendo sonorità a volte grottesche a volte estremamente docili, utilizzando con stupefacente naturalezza i Leitmotive e servendosi di un’orchestrazione a tratti limpida, belcantistica, a tratti mordente. Un compendio di stilistiche il cui minimo comun denominatore è l’inventiva e la geniale personalità di Nino Rota.

 

L’orchestrazione di Rota è particolarmente brillante. Come hai gestito il rapporto tra buca e palcoscenico affinchè l’Orchestra non sovrastasse i cantanti?

Come in tutte le opere e teatri, al giorno d’oggi, le orchestre sono grandi e le buche sonore. Nel nostro caso siamo in presenza di un organico orchestrale particolarmente “pesante”, ma volutamente pensato dal compositore. Mio compito è stato, con la complicità della straordinaria Orchestra del Carlo Felice di Genova, di dosare i forti e fortissimi (quasi sempre coincidenti con soluzioni accordali possenti a piena orchestra) al fine di non creare problemi all’emissione dei cantanti e soprattutto non “coprire” tutti gli interventi (molteplici) del coro interno.

L’opera ha un ritmo narrativo molto serrato. Come hai collaborato con Damiano Michieletto, regista ed il cast per mantenere alta l’energia scenica e musicale?

E’ stato un lavoro di straordinaria sinergia. Trovo lo spettacolo di Damiano un capolavoro, dinamico, mai scontato il quale, d’intesa con la musica, ha fatto sì che l’opera scorresse senza un minimo calo di tensione o di noia.

Il cappello di paglia di Firenze è un’opera poco rappresentata, a mio parere ingiustamente e la trovo adatta a tutti, soprattutto ai giovani per avvicinarli all’opera lirica. Qual è il tuo pensiero?

Assolutamente. Un peccato che si tenda sempre ad associare il nome di Rota alla sola musica da film, al netto dei capolavori da lui scritti e delle prestigiose collaborazioni con grandi registi; il Cappello è un’opera gioiosa, una storia semplice ma sincera, non naif, bensì molto fruibile da parte dei giovani, specialmente di quelli che si avvicinano a questo mondo per la prima volta. Eseguirla più spesso darebbe loro la possibilità di emozionarsi come guardando un bel film, decodificando senza fatica le varie fasi della farsa e perché no, facendosi qualche bella risata!

Questo concetto ci riporta alla più volte enunciata necessità di non dimenticare autori come Rota, Casella, Malipiero ed altri, i quali hanno creato veri e propri gioielli e che purtroppo non vengono valorizzati per quanto meriterebbero.

Un debutto per tutti in quest’opera ed anche per te, quanto sei soddisfatto?

Sono entusiasta all’ennesima potenza. Abbiamo tutti debuttato, quindi ci siamo concessi la possibilità di lavorare ex novo analizzando in maniera certosina ogni singola pagina di questo capolavoro. Last but not least, ci siamo tanto divertiti e questo è arrivato al pubblico che ci ha donato il suo entusiasmo ed affetto”.

 

Foto di copertina ©-Laila-Pozzo-