(Christian Speranza- Palermo) Al Massimo di Palermo il Tristan und Isolde mancava da quarantadue anni. Non poteva mancare una sua ripresa, specialmente nella città in cui Wagner completò l’ultima sua opera: il Parsifal.
Isotta, principessa irlandese, veleggia verso la Cornovaglia per andare sposa di re Marke contro la sua volontà. In dialogo con l’ancella Brangania, dichiara di volersi vendicare di Tristano, nipote del re, che la sta scortando, perché ha ucciso tempo addietro il suo promesso sposo Moroldo in duello. E piuttosto che concedersi quale sposa “politica”, opta per un omicidio/suicidio invitando Tristano a bere assieme a lei con l’inganno un filtro di morte. Brangania se ne accorge e lo sostituisce con un filtro d’amore. All’arrivo in porto, il re li trova occhi negli occhi ma non capisce il segreto del loro sguardo…
Qualche tempo dopo il matrimonio, i due si incontrano in segreto di notte, vegliati da Brangania, mentre il re e la corte partecipano a una caccia organizzata dal migliore amico di Tristano, Melot. Nel loro lungo duetto d’amore, il più lungo della storia dell’opera, si giurano ancora amore eterno, ma improvvisamente il re fa ritorno e li scopre. Melot, in realtà una spia del re, che aveva escogitato la caccia per sorprendere i due amanti, sfida a duello Tristano e lo ferisce gravemente.
Tornato nel suo castello di Kareol, in Bretagna, Tristano agonizza delirando, vegliato dallo scudiero Kurwenal, e spera di veder comparire all’orizzonte la nave di Isotta. Dopo illusioni e vaneggiamenti, l’amata giunge, ma appena in tempo per accogliere Tristano morente fra le sue braccia. Le cose precipitano. Su una seconda nave arrivano il re e la sua corte, Kurwenal uccide Melot, poi si accascia accanto al suo padrone. Isotta si abbandona a Brangania e cade sul corpo di Tristano.
Del vascello del primo atto, della scena notturna del secondo e della rocca del terzo, nulla resta nella lettura di Daniele Menghini, che firma uno spettacolo anti-didascalico assieme ai suoi collaboratori Davide Carnevali (drammaturgia), Martin Verdross (assistente alla regia e drammaturgia dell’immagine), Davide Tagliavini (movimenti coreografici), Giovanni Ciacci (altro assistente alla regia), Davide Signorini (scene), Nika Campisi (costumi) e Gianni Bertoli (luci). Primo e terzo atto sono ambientati in un teatro ancora “in allestimento”, con funi, tiranti e contrappesi a vista e un pavimento in legno grezzo. I cantanti non indossano i costumi di scena, ma entrano dalla platea e iniziano a cantare sul palcoscenico con leggio e spartito. Neanche gli orchestrali sono in frac. Neanche il direttore, che, confuso in mezzo ai tecnici, accenna al Preludio sul pianoforte in fondo al palco, mentre ancora il pubblico mormora in cerca del posto; poi scende, prende posto sul podio e inizia a dirigere. Stiamo assistendo a una prova: ci si mette di mezzo anche il Corpo di ballo del Massimo, diretto da Jean-Sébastien Colau, che affina una coreografia a fine primo atto. Nel secondo si entra nel vivo del dramma, con bei costumi di foggia vagamente rinascimentale, luci soffuse a cullare il duetto d’amore notturno, finché l’arrivo del re distrugge la magia e Melot uccide Tristano non di spada ma di pistola, sparandogli nella schiena.
A questa lettura “metateatrale” si aggiungono richiami a Shakespeare, la rievocazione della scena del balcone di Romeo e Giulietta da un lato – con Giulietta in cima a una scala da biblioteca – e Amleto dall’altro che lucida teschi. Da una parte il riferimento a un amore impossibile, come quello dei due giovani veronesi, dall’altra alla morte: i «fratelli a un tempo stesso» di leopardiana memoria. Ma ad aggiungere il tocco finale ci pensa un improbabile Cupido, impersonato da un mimo nudo con ali d’argilla, che nel primo atto orina dentro un boccione d’acqua minerale: spillato da questo, ecco il filtro d’amore!
Se la regia non convince, si salva l’esecuzione, tra luci e ombre. Per l’ultima recita in programma, del 31/05/2024, Allison Oakes offre una prova più che valida prestando alla sua Isotta una voce ampia e luminosa ma anche aspersa di gradevole intimismo. Meno valido il Tristano di Samuel Sakker, in difficoltà crescente dal primo al terzo atto, forse a motivo di una tipologia vocale non propriamente “wagneriana”; piace però l’interpretazione del duetto d’amore, con sfumature delicate e intense. Promosso a pieni voti il re Marke di Maxim Kuzmin-Karavaev, basso dal canto nobile, omogeneo, molto espressivo, come pure il Kurwenal di Andrei Bondarenko, baritono di strumento scuro e potente, in grado di dar vita a uno scudiero credibile anche per la fluida movenza sulla scena. Bello squillante il Melot di Miljenko Turk, che si vorrebbe riascoltare in ruoli di più ampio respiro. Quanto alla Brangania di Irene Roberts, colpisce il suo timbro caldo e il grande volume vocale. Completano infine il cast il Marinaio di Andrea Schifaudo, che interpreta anche il Pastore al terzo atto, e il Timoniere di Arturo Espinosa.
Il Coro del Massimo, istruito da Salvatore Punturo, sembra collocato dietro le quinte in alto, per il ruolo della Ciurma sul vascello del primo atto. Un plauso ai suoi elementi e a quelli dell’Orchestra, sempre del Massimo, tutti sotto la bacchetta di Omer Meir Wellber, assistito da Tohar Gil. Una direzione, la sua, in parte azzeccata, per la parte orchestrale, pur con delle riserve sull’espressione, in parte no, specie nella concertazione delle voci, talvolta coperte dal suono della buca.
Recensione della recita del 31 maggio 2024
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