(Christian Speranza- Torino) Non solo repertorio. All’auditorium Arturo Toscanini di Torino i concerti di Rai Nuovamusica promuovono l’ascolto di brani di recentissima concezione, letteralmente “musica del Duemila”.
Ne è una prova il secondo concerto della stagione, mercoledì 24 aprile 2024. Dopo un’assenza di qualche mese, Robert Treviño torna sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (OSN), di cui è direttore ospite principale, per tre prime esecuzioni. Il battesimo assoluto di questi brani è avvenuto alcuni anni orsono, ma mancava il debutto torinese sotto le alte competenze dell’OSN, qui chiamata a dimostrare ancora una volta il suo valore in prove d’assieme rese impervie da una musica di non facile esecuzione, sia per l’organico richiesto, di molto superiore a quello standard, sia per le originalità nell’uso degli strumenti, una su tutte lo sfregamento dell’archetto da contrabbasso sulle barrette in legno dello xilofono – trovata non nuovissima, a dire la verità, ma sempre d’impatto.
Scordiamoci l’orecchiabilità, le melodie di facile presa. Siamo nel campo della pura astrazione sonora, musica da ascoltarsi con le orecchie del cervello, più che del cuore. Per questo, forse, serate così lasciano indifferenti i più; ma è anche da dire che alle soglie del XXI secolo si è detto tutto e il contrario di tutto, e quel che resta da fare sono esperimenti sonori.
Sotto questo aspetto, il brano più interessante è, a giudizio di chi scrive, quello d’apertura, Helix, del 2005, di Esa-Pekka Salonen, classe 1958, più conosciuto come direttore ma attivo anche come compositore. Helix, commissionato dalla BBC ed eseguito in prima assoluta il 27/08/2005 dalla World Orchestra for Peace diretta da Valery Gergiev, si potrebbe definire come «un accelerando in nove minuti»: parola del suo autore. Come Ravel nel Boléro aumentava man mano gli strumenti, così Salonen fa qui con la velocità, proponendo due temi in accelerazione progressiva, una corsa sempre più affannosa che termina nell’abisso di un silenzio improvviso, con le percussioni che raggiungono il parossismo. Un’elica, come suggerisce il titolo. O meglio una spirale.
A seguire il Concerto per pianoforte e orchestra Alla memoria di Edward “Duke” Ellington di Carlo Boccadoro (1963). A interpretarlo, il giovane e agguerritissimo Alessandro Taverna. Eseguito per la prima volta il 30/01/2017 da Beatrice Rana al Teatro alla Scala, direttore Riccardo Chailly, esso rispetta il taglio in tre movimenti tipico dei concerti solistici, ma l’architettura interna pare, specialmente nel primo e nel terzo, una sorta di improvvisazione trascritta a caldo. La scrittura pianistica è spinta a livelli di difficoltà trascendentali (commentata come “difficile” addirittura da Pollini…), e Taverna è costretto a tenere lo spartito a vista. I suoi interventi, sovente nella regione sovracuta dello strumento, a ricercare effetti timbrici da carillon, paiono indifferenti alle risposte dell’orchestra, quasi mondi paralleli che più che incontrarsi si scontrano, tra virtuosistiche scorribande tastieristiche da una parte e bordate cataclismatiche dell’orchestra dall’altra. Si sente la volontà di organizzare il caos, con la sospensione temporale del secondo movimento in cui perdura un’atmosfera rarefatta ma sottilmente inquietante, ma è anche vero che musica di questo tipo, sviluppata “orizzontalmente”, potrebbe in via teorica continuare all’infinito. Così non è (per fortuna), e dopo il terzo movimento, un poco più “jazzistico”, in omaggio al sottotitolo (omaggio ellittico e non letterale), lo stesso Boccadoro presente in sala riceve applausi lunghi ma contenuti da parte di una platea lontana dal sold out, che condivide con Treviño e Taverna. In risposta, le dita ancora calde di quest’ultimo si scatenano in un trascinante fuori programma, qui davvero in stile jazzistico acrobatico, che elettrizza il pubblico più di tutto il Concerto.
Terzo e ultimo pezzo, City Noir di John Adams (1947). Il compositore statunitense, omonimo del secondo Presidente degli USA (tutti buoni a sapere il primo, ma il secondo…), l’ha visto eseguire per la prima a volta l’8/10/2009 dalla Los Angeles Philarmonic Orchestra diretta da Gustavo Dudamel, e non a caso: nel suo trittico per orchestra prende vita infatti la Los Angeles delittuosa degli anni Quaranta, quella descritta in Black Dahlia, un capitolo di Embattled dreams di Kevin Starr che racconta il raccapricciante omicidio di Beth Short. Si raggiunge qui il massimo dell’espressione filmica, quasi una colonna sonora per un possibile cortometraggio, benché ancora una volta in chiave astratta, più impressioni sonore che veri e propri temi. L’insieme rivela inventiva ritmica, inusitati accostamenti timbrici e un’abilità non comune nel maneggiare la grande orchestra.
L’OSN e Treviño pervengono a un’esecuzione di sicuro pregio, considerata la domanda tecnica dei brani. Anche qui però l’applausometro rivela un coinvolgimento più intellettuale che viscerale: forse a volte vale più un violino da solo che un centinaio di orchestrali…