(Christian Speranza) Non glieli daresti proprio venticinque anni a quel Giacomo che ti sforna Le Villi come prima opera. Inventiva da vendere, melodiosità, mano sicura con l’orchestra. Eppure non è che la prima delle dodici che scriverà…
In un panorama orfano di un Verdi ritiratosi dopo l’Aida, nel 1871, e col suo editore Ricordi che lo tampinava perché, se proprio non voleva più comporre, almeno rimettesse mano a qualche vecchio lavoro, il rivale Sonzogno decide di indire un concorso per scovare nuovi talenti operistici. I lavori devono essere opere in un atto, «di soggetto idilliaco, serio o giocoso», con musica improntata «alle buone tradizioni dell’opera italiana», ma che guardasse anche «ai portati della scienza dei suoni contemporanea». Leggi: che guardasse anche a Wagner. Da quando il suo Lohengrin era sbarcato in Italia, infatti, a Bologna, sempre in quel famoso 1871, fare musica moderna voleva dire fare musica “alla Wagner”, ovvero, fra le altre cose, dare più peso all’orchestra, arricchire il suo impiego, che non si limitasse solo ad accompagnare le voci.
Le Villi risponde proprio a questi requisiti, con lo stratagemma di un intermezzo sinfonico a spezzare in due l’atto unico (simile trucchetto userà Pietro Mascagni nel 1888, per un’altra edizione del Concorso Sonzogno: ancora oggi l’intermezzo della sua Cavalleria rusticana è una delle pagine più famose).
Il suo librettista, lo scapigliato Ferdinando Fontana, si ispirò al racconto Les Willis di Alphonse Karr del 1852, anche se le fonti risalgono a Giselle di Théophile Gautier, che diede modo ad Adolphe Adam di aver di che comporre il suo omonimo balletto, e ad Heinrich Heine.
Siamo nella Foresta Nera. Anna e Roberto hanno appena celebrato il fidanzamento, e già Roberto parte per Magonza a riscuotere l’eredità. Ma, lontano dagli occhi, lontano dal cuore: a Magonza, Roberto si lascia sedurre da una non meglio specificata «sirena» e tradisce Anna, che nel frattempo, non vedendolo tornare, muore di crepacuore. Il tempo passa. Roberto, spennato dalla «sirena», decide di fare ritorno. Ed è che qui che le Villi, gli spiriti delle fanciulle tradite morte per amore, attueranno la loro vendetta: pregate dal padre di Anna, Guglielmo, attirano Roberto nella selva e lo stregano a ballare in una danza forsennata fino a morire.
Puccini riceve il libretto nel settembre del 1883, compone la musica riutilizzando alcune pagine scritte in precedenza e invia l’opera al Concorso. E non vince. Ma ha la fortuna di poterla suonare al pianoforte in una serata organizzata dallo stesso Fontana e da Amilcare Ponchielli, operista e suo ex insegnante al Conservatorio, alla presenza della Milano intellettuale, tra cui quello stesso Arrigo Boito che
aveva dato avvio al filone “demoniaco” col suo Mefistofele. L’opera piace, al punto che si organizza un crowdfunding per farla rappresentare. E così, adocchiato da Ricordi, che lo prenderà sotto la sua ala protettrice, Puccini vede mettere in scena le sue Willis, come all’epoca si chiamavano, al Teatro Dal Verme di Milano il 31/05/1884. Viene accolta trionfalmente, al punto che il pubblico avanza dubbi sulla serietà della commissione del Concorso, che non ha premiato un tale capolavoro. Sonzogno si morderà le mani a lungo per essersi lasciato sfuggire Puccini, e investirà su Umberto Giordano, che gli darà Andrea Chénier.
Un’opera in un atto, però, non è spendibile. Così, Ricordi consiglia a Puccini di allungarla. Da «leggenda» si passa a «opera-ballo», da un atto si passa a due e il titolo diventa Le Villi. Vengono aggiunti tre numeri, la romanza di Anna Se come voi piccina, la “scena drammatica” di Roberto e un intermezzo sinfonico. In questa veste viene presentata al Teatro Regio di Torino il 26/12/1884. Ma non basta. L’anno successivo Puccini ci ripensa e inserisce anche la romanza Torna ai felici dì. In questo modo, ciascuno dei tre personaggi, Anna, Roberto e Guglielmo, ha un suo momento solistico. E si torna in scena, stavolta alla Scala, il 24/01/1885. I ritocchi continueranno almeno fino al 1892, ma intanto Le Villi ha assunto grosso modo la sua fisionomia definitiva.
Il colpo era fatto. Puccini era entrato nell’agone operistico italiano. Ben più travagliato sarà il suo secondo titolo, Edgar, commissionato da Ricordi stesso e che gli costerà quattro anni di lavoro. Ma questa è un’altra storia…